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Viva la vita. Benvenga l’emozionarsi, benvenute le emozioni

“Sei troppo emotivo” o “Si emoziona sempre tanto” piuttosto di “E’ proprio un insensibile senza emozioni” o “non dimostra nessuna emozione neanche ..”. Che cosa esattamente vuole dire emozionarsi? Spesso leggo le pillole giornaliere del calendario filosofico che possono essere piccole affermazioni da cui poter iniziare delle riflessioni magari più profonde. Un giorno dell’anno scorso ha pubblicato la frase seguente: “E finche saprò ancora emozionarmi, saprò che le delusioni non hanno vinto”. Ora che cosa vuole dire esattamente “emozionarsi”? Che coso sono delusioni? Finiscono mai? Vincono mai in tutto per tutto? E’ possibile una vita senza emozioni e senza delusioni? Vediamo un po’. 

Proviamo a vedere un po’ di definizioni online del termine “emozionarsi”.

Il dizionario della Repubblica dà come definizione dell’emozionarsi la seguente: commuoversi, impressionarsi: è un ragazzo che si emoziona per un nulla”. Questa definizione dà quindi come esempio una connotazione “negativa”. Il commuoversi è negativo?

Vediamo il dizionario Garzanti che dà come definizione di emozionare: mettere in uno stato di emozione; turbare, impressionare: quella notizia mi emozionò moltissimo; una scena che emoziona. Una descrizione neutro o addirittura positiva. Proviamo anche a vedere la Wikipedia sotto i dizionari, il sito del Wiktionary che descrive l’emozionarsi come una risposta ad una buona sensazione o il culmine della percezione di sé. Direi anche qui per niente negativo come concetto.

Come vediamo già facendo solo un piccolo confronto online, la definizione è varia e può prendere dei significati positivi o negativi in base a chi interpreta la parola e la sua definizione. Ed è esattamente questo il “problema” del termine ma anche dell’interpretazione di chi “giudica” chi è emozionato.

Parliamo adesso delle emozioni senza voler entrare troppo nella teoria psicologica: Wikipedia le definisce così: Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi. Secondo la maggior parte delle teorie moderne, le emozioni sono un processo multicomponenziale, cioè articolato in più componenti e con un decorso temporale che evolve. In termini evolutivi, o darwiniani, la loro principale funzione consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo a situazioni in cui si rende necessaria una risposta immediata ai fini della sopravvivenza, (per esempio la reazione “fight” o “flight”), una reazione che non utilizzi cioè processi cognitivi ed elaborazione cosciente.

Le emozioni rivestono anche una funzione relazionale (comunicazione agli altri delle proprie reazioni psicofisiologiche) e una funzione autoregolativa (comprensione delle proprie modificazioni psicofisiologiche). Si differenziano quindi dai sentimenti e dagli stati d’animo, anche se questi termini vengono spesso usati indifferentemente nel senso comune.

Non possiamo fare senza emozioni e a mio avviso quindi il “mettere in uno stato di emozione” (l’emozionarsi) è inevitabile. Si tratta quindi dell’interpretazione (spesso data da altri) che si danno allo stato di una persona. Il giudizio su una persona che si esprima e che si emoziona spesso non aiuta a migliorare un eventuale stato emotivo negativo, se non viene capito, ne ascoltato. Vedere una persona emozionarsi sveglia delle emozioni in noi stessi che spesso volentieri non sappiamo neanche di avere. Questo può essere un confronto difficile con i nostri sentimenti, quindi spesso preferiamo a tenere una corazza attorno, un muro per non dover affrontare quello che vediamo in realtà dentro l’altro come se fosse uno specchio. Poi c’è il giudizio…chi siamo noi a decidere quello che è troppo o troppo poco? Secondo quali standard misuriamo le nostre risposte alle emozioni altrui? Tutte domande interessanti, che spesso volentieri non vengono approfondite. Molte persone preferiscono sfogarsi, dire la loro e soprattutto…non doversi affrontare loro con “certi problemi”. La persona “emozionata” in questione potrebbe rimanere “male”, “non capita”, “sentirsi inadeguata” e “delusa” (se non ha imparato di “fregarsene dell’opinione altrui” ????).

Vediamo adesso le delusioni. Google dà come definizione: “un disagio morale provocato da un risultato contrario a speranze, previsioni o un fatto che smentisce o vanifica ogni aspettativa”. Garzanti dà la definizione di beffa o inganno. Direi una definizione assai negativa.

Come l’emozionarsi è una parte di noi, anche le delusioni fanno parte della nostra vita, come viene descritto benissimo in un blog della mente è meravigliosa e dove vengono dati dei consigli day to day come superare le delusioni.

Le delusioni possono vincere su di noi? Direi come tutti i sentimenti (la rabbia, la frustrazione, la gioia) momenti di delusioni ci sono e fanno parte della nostra vita e possono essere interpretati per farne qualcosa…per trarne lezione, per trarne un’idea, per trarne una consapevolezza ma anche per farne un bel niente….semplicemente si va avanti e basta. Bisogna cercare di mai farsi sopraffare da nessun emozione tale che si diventi apatici e incapace di reagire, ma bisogna viverle come parte integra della vita. E soprattutto bisognerebbe cercare di non giudicare l’atto dell’emozionarsi dell’altro ma accogliere la persona con le sue emozioni e cercare di ascoltarla in modo empatica. Dove non si riesce a dare il sostegno necessario, ci siamo noi psicologi! Quindi direi che per concludere questa frase del Calendario Filosofico si può affermare: “E’ finché saprò ancora emozionarmi, sarò vivo!”. Andate bene! Un passo per volta 🙂

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Liesbeth Elsink

Psicologa laureata in Psicologia Clinica. Condivido su questo sito opinioni, suggerimenti, consigli, idee e motivazioni collegando il campo della psicologia con le persone.